DANTE RICORDA LA SACRALITA DEL VINO

di Riccardo Cotarella

I settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, che si celebreranno in questo 2021, offrono un’occasione importante per tornare ad affrontare un tema immenso, quello che lega il vino alla cultura. Nella Divina Commedia Dante per spiegare il mistero della nascita dell’anima umana, evoca, addirittura, proprio la trasformazione dell’uva in vino. E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola, scrive Dante nel passo contenuto nel Purgatorio; XXV; 76-78.

Se ci soffermiamo su questo punto possiamo comprendere con emozione e immenso stupore a quale miracolo della natura ogni anno siamo chiamati ad assistere e intervenire noi enologi. Un privilegio che ci deve inorgoglire della nostra professione e al tempo stesso responsabilizzare rispetto all’eccellenza vino, attraverso la quale passa la storia, il presente e il futuro di un Paese. A più riprese abbiamo spiegato come dentro un calice di rosso o di bianco ci sia la nostra anima, la nostra tradizione, il nostro sapere. Dante con le sue citazioni legate al vino ce lo ricorda a distanza di sette secoli dalla sua scomparsa, come potete leggere nel focus dedicato al sommo poeta in questo numero de L’Enologo.

In questi mesi di pandemia abbiamo ripetutamente spiegato come il mondo del vino possa contribuire in maniera importante alla ripresa economica dell’Italia, adesso Dante ci suggerisce o meglio ancora, ci ricorda, che forse è davvero giunto il momento di andare oltre. Ci spinge a pensare che la ripresa passerà attraverso l’arte, la bellezza, la cultura e le cose buone della nostra terra. Già, bello e buono per un nuovo umanesimo, per un nuovo modo di intendere il profitto e quindi le nostre vite. L’emergenza sanitaria ha rallentato il nostro correre veloce che per troppo tempo ci ha forse impedito di soffermarci a vedere quanto di bello c’era intorno a noi. E allora voglio, ancora una volta, immaginare quel fatidico bicchiere mezzo pieno: non buttiamo via quello che questi mesi drammatici ci hanno offerto. Proviamo a coglierne il significato migliore e portiamolo dentro le nostre vigne e nelle nostre cantine. Proviamo a immaginare nuove traiettorie capaci di condurci verso un’innovazione che sappia regalare nuovi sapori e nuove opportunità. Ci attende una sfida enorme che non vuole e non può essere solo enologica, ma culturale. Esattamente come ci suggerisce Dante Alighieri. Una sfida che riguarda in primis la nostra categoria, ma che investe tutti i protagonisti del mondo del vino, a cominciare dai viticoltori che ogni giorno hanno un contatto diretto con la Terra. Che chiede sempre più rispetto adottando produzioni sostenibili figlie della cultura scientifica degli enologi e in linea col pensiero dantesco che associa la trasformazione dell’uva in vino alla nascita dell’anima umana. Da presidente della più importante associazione di enologi ed enotecnici del mondo posso affermare senza remore che noi siamo pronti ad affrontare e vincere la sfida, ma, al tempo stesso, abbiamo ben chiaro che questo passaggio storico dovrà essere fatto proprio dal sistema Italia che affonda le sue radici nello Stato e nelle scelte di governo. In questi mesi noi enologi abbiamo dato grande prova di professionalità e di tenuta. Abbiamo e stiamo stringendo i denti per resistere alla più grave crisi economica planetaria dalla seconda guerra mondiale ad oggi, ma nonostante questo siamo ancora qui disponibili ad accettare questa nuova sfida in nome della scienza, dell’amore per le nostre imprese – che rappresentano le nostre vite – e in nome del rilancio economico dell’Italia. E se anche non dovessimo essere supportati da scelte governative appropriate, alla sfida non rinunceremo perché ci crediamo più di ogni altra cosa e anche per non far torto al grande Dante.