Territorio e sostenibilità, paradigma della viticoltura italiana

di Attilio Scienza

Se si potesse, con un solo colpo d’occhio, osservare dall’alto tutti i territori viticoli italiani, si coglierebbero subito le grandi differenze tra le diverse zone coltivate a vite. Nessuna regione viticola nel mondo ha un’analoga varietà di luoghi e di paesaggi. Nell’Italia viticola la geografia si mescola di continuo con la storia. Ad un osservatore poco attento potrebbe apparire come un paesaggio caotico, fatto di discontinuità, nelle forme, nei colori, nelle fratture tra i diversi livelli delle colline o nelle prospettive della pianura, ma esso nasconde in sé l’energia del disordine entropico, della volontà dell’uomo di non disturbare l’armonia della natura originaria, di affrontare l’asprezza delle forme della terra con lo spirito di un artista del Rinascimento. Quanta banalità nei paesaggi ordinati e geometrici di certe viticolture europee ed extraeuropee.
Per capire i tratti comuni di questo grande territorio che va dal mare Mediterraneo alle Alpi, è necessario ricostruire gli scenari nei quali le popolazioni rurali hanno vissuto e che hanno plasmato secondo il loro imprinting culturale. In un certo senso bisogna far finta che quegli uomini ci siano ancora: per incontrarli bisogna cercarli nei cascinali e nei borghi sperduti sulle colline e nella estesa pianura, dimenticando il presente. Da questa ricerca, da questi incontri si potrà capire quanto lavoro, quanta fatica ma anche quanta intelligenza hanno lasciato in quello che è giunto fino a noi. Si incontreranno persone gentili, appassionate del loro lavoro ed orgogliose di farvi assaggiare i vini che producono. Scrutando i loro occhi ed ascoltando le cadenze dei dialetti, si capirà come questi viticoltori sono l’irrepetibile risultato dell’incontro di tanti popoli che si sono mescolati ed hanno lasciato i segni del loro passaggio negli straordinari vini di questa terra.

Il vigneto come metafora di equilibrio e dinamicità

L’Italia racconta la storia delle sue radici attraverso la storia dei suoi viticoltori. Il paesaggio viticolo diventerà sempre più il vettore essenziale della conoscenza dei vigneti e dei vini di una zona e quindi il supporto più importante per tutte le strategie enoculturali. Il potenziale metaforico che possiede un vigneto è molto forte. Il vigneto è prima di tutto una metafora di grande equilibrio: per l’immagine che affiora da una natura antropizzata, di un’armonia tra l’uomo e la pianta, una sorta di complicità. Ma è anche una metafora eloquente di dinamismo. Il paesaggio è portatore di entusiasmo, ma nello stesso tempo di rigore e di stabilità che conforta e stimola il consumatore. Diventa così il nuovo punto di riferimento nel superamento di una visione troppo antropocentrica dell’ambiente geografico: i problemi dell’industria non vengono così separati da quelli dell’agricoltura e viene così sviluppato il concetto di “agrosistema”, il cui studio esige competenze specifiche nel campo dell’ecologia, nella geografia degli insediamenti, nelle scienze naturali. Ma il paesaggio viticolo non è solo visibile, in lui c’è una parte invisibile. Le città metaforiche di Calvino (Le città invisibili) contengono, come i paesaggi della nostra viticoltura, in un intreccio di passato e presente, le tracce di chi ha operato e vissuto in altri tempi. Oggi si pone il problema di legare la percezione del visibile con l’invisibile del paesaggio viticolo sia nello spazio che attraverso il tempo, assumendolo come referente del rapporto natura-cultura al fine di offrire indicazioni per salvare rappresentazioni simboliche ed esigenze ambientali, per raccordare istanze estetiche ad istanze economiche, per rispettare tensioni produttive e bisogni turistici, salvaguardando soprattutto gli iconemi, che perdendo identità subiscono sovrapposizioni, smarriscono il loro preciso significato semiologico. Ad essi è legato il mito del luogo, la parte invisibile, lo spirito, il carattere, il genius loci. Paesaggio come monumento, luogo dello spirito, da monumentum, parola latina che racchiude la radice indo-europea men, da cui mens, l’intelligenza e la ragione e memini, ricordarsi, pensare, riflettere.Ci sono i “ paesaggi per educare “ nei quali il paesaggio è parte integrante di istituzioni culturali ed artistiche, soprattutto musei ed università. Sono delle vere e proprie gallerie all’ aperto che in America vengono chiamate museums without walls, (musei senza pareti). L’Italia è un paese che gode universalmente di una fama meritata per la sua cultura “diffusa”, per quelli che vengono chiamati dagli antropologi ,i giacimenti artistici ed alimentari. Ciò significa che ogni piccolo borgo possiede una pieve con un quadro di un artista famoso, o un castello che racconta una storia millenaria, o un prodotto alimentare originale, o un vino antico. Altrove nel mondo le grandi opere d’arte o le cucine dei cuochi famosi sono concentrate nelle grandi città. Anche la nostra viticoltura è espressione di una stratificazione culturale antica : ogni angolo della nostra penisola nasconde un tesoro costituito da vitigni quasi sconosciuti e da tradizioni enologiche che sono state tramandate intatte da tempi immemorabili. Finchè la viticoltura e l’enologia erano considerate solo attività agricole, esercitate da piccoli agricoltori, le cantine occupavano alcuni locali dei fabbricati aziendali. Solo alla fine dell’800 con la nascita della viticoltura ed enologia moderne ,per effetto della ricostruzione post fillosserica e lo sviluppo della rete ferroviaria, la figura del viticoltore si separò da quella del vinificatore e quindi la produzione del vino ebbe bisogno di locali ed attrezzature finalmente dedicate solo a questo scopo. La cantina non è più il luogo ,come nel passato ,dove non si poteva entrare, ma è diventata invece una vetrina, lo specchio della filosofia produttiva di un azienda, occasione di incontri e di degustazioni, di manifestazioni culturali, di esposizioni d’arte. Sull’esempio dei wine village californiani, vicino agli spazi destinati alla produzione del vino, sono sempre più importanti locali per la comunicazione. La cantina stessa con le sue forme spesso non convenzionali, suoi volumi, le sue prospettive ed i giochi di luce, diviene un richiamo irresistibile per una visita, per parlare di quel vino, per scrivere di quel territorio. Oggi si assiste tra i produttori di vino ,da un lato ad un’esaltazione spesso solo verbale del modello della tradizione, che però per conservarsi puro dovrebbe restare distante dal mercato e dall’altro ad una pervasiva pratica liberistica che ha come solo scopo l’efficienza e la creazione di ricchezza. In particolare sembra manifestarsi il predominio di una certa versione mortificata della tradizione che guarda al passato solo per celebrarlo e che espelle dal proprio orizzonte culturale la reciprocità tra sfera economica e sfera sociale che è alla base della formazione stessa della tradizione. Una efficace esemplificazione del significato di tradizione proviene dall’ interesse per i vitigni autoctoni o antichi o tradizionali. Il ritorno dei vitigni antichi alla coltivazione va interpretato nel segno della tradizione come un tradimento fedele della tradizione stessa, solo se la loro coltivazione e vinificazione non ricalca gli schemi del passato, ma utilizza correttamente l’innovazione tecnologica per offrire ai consumatori vini moderni, salubri, adatti al gusto ed alle abitudini alimentari dei nostri giorni. Due parole nuove sono nel frattempo entrate nel vocabolario di chi si occupa di produzioni agricole : la ecocompatibilità e la multifunzionalità. La prima identifica una viticoltura capace di produrre uve sane e di alta qualità, con soglie di residui di fitofarmaci sotto gli standard europei, che tuteli la salute del viticoltore, mantenga alta la biodiversità del territorio viticolo (compresa la biodiversità culturale ed il paesaggio),preservi e valorizzi la fertilità naturale del suolo. Il viticoltore in definitiva vuole avere una sorta di legittimazione sociale a produrre vino. L’Italia è in preda ad un incantesimo ideologico che esalta il passato dal quale siamo fortunatamente usciti grazie alla sofferenza ed al lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto. Si vuol far credere che si possa costruire una prospettiva economica alla nostra viticoltura sulla nostalgia e sull’esoterismo. La ricchezza di un Paese ed il suo benessere dipendono da molte circostanze ma due sono imprescindibili : la libertà individuale e lo sviluppo scientifico. Investire nella scienza e scommettere sull’innovazione implicano la volontà di pensare per il futuro ed il futuro è la viticoltura integrata, dove gli aspetti cruciali della sostenibilità (le applicazioni della viticoltura di precisione ed il miglioramento genetico per le resistenze ) sono affrontati quotidianamente dalla ricerca e spesso risolti. I progressi raggiunti dalla cosiddetta viticoltura di precisione, applicabile ormai anche ad aziende di piccole dimensioni, consentono di valutare lo stato vegeto-produttivo nelle diverse parti di un vigneto e di adeguare le somministrazioni degli input energetici (concimi, acqua irrigua, prodotti antiparassitari, etc ) in funzione dei reali fabbisogni delle piante. La  invece definisce, nell’ottica di una viticoltura ecocompatibile ,il ruolo che questa ha in un contesto economico e sociale  un  ,integrandosi con le altre attività produttive. Per la sua realizzazione è necessario individuare un percorso comune tra organismi locali e la filiera allargata del vino con la ricerca e la formazione. Il futuro della viticoltura non sarà più nella separazione tra produzione e consumo : in una visione olistica del mondo, l’espressione “sviluppo sostenibile “ non deve più essere considerata un ossimoro, ma un traguardo raggiungibile attraverso i risultati della ricerca e dell’innovazione. Nel futuro del viticoltore italiano, soprattutto giovane, ci sarà sempre meno posto per una separazione dei ruoli nella produzione del vino e, contrariamente al passato, dovrà essere contemporaneamente produttore dell’uva, vinificatore e venditore del suo vino. Dovrà per questo avere una formazione completa che parta dalla conoscenza delle risorse naturali di cui dispone, fino alla storia del territorio dove opera e delle strategie di marketing. Solo così potrà evitare che il suo vino diventi una “merce”, una commodity, il cui prezzo viene fissato dal mercato internazionale. Al contrario dovrà valorizzare maggiormente il suo lavoro attraverso la forza del brand territoriale. Può apparire paradossale ma nell’era della globalizzazione si stanno affermando modelli alternativi di produzione e di comunicazione che si basano sui marchi di piccoli territori per conferire identità ad un vino e sfuggire al gusto omologato dei wineword.