Vini vulcanici, la grande lezione agli studenti di enologia e viticoltura delle università italiane

di Laura Minoia, Maurizio Maurizi, Francesco Martusciello

 

Cercando un filo conduttore che unisse l’Italia e i suoi giovani enologi è nata la degustazione dei “vini vulcanici”. Un grande evento nazionale che ha coinvolto ben 19 università italiane  protagoniste con i loro corsi di laurea in enologia e viticoltura. L’idea della degustazione universitaria è partita da Laura Minoia, referente della Sezione Puglia Basilicata Calabria del Comitato Giovani di Assoenologi, poi, col passare del tempo è lievitata, tanto da diventare un evento che ha toccato ogni angolo del Paese. La degustazione è stata possibile realizzarla grazie al supporto del Consiglio nazionale di Assoenologi, di tutto il Comitato Giovani e delle facoltà. Nei calici sono finiti i vini di tre regioni vulcaniche del Sud Italia. L’evento inizialmente avrebbe dovuto coinvolgere solo le Sezioni Campania, Sicilia e Puglia Basilicata Calabria. Ma online è stato possibile coinvolgere contemporaneamente tutte le Sezioni di Assoenologi e le classi universitarie dell’ultimo anno.
Ne è scaturito quindi un incontro con le 19 Sedi collegate simultaneamente, in cui sono state presentate le zone viticole dei Campi Flegrei, dell’Etna e del Vulture.
I tre territori sono stati raccontati ai futuri enologi d’Italia, attraverso due vini rappresentativi.

Tre territori raccontati dagli enologi

 

Le presentazioni sono state affidate a tre colleghi, uno per territorio, magnifici ciceroni mediatici dei luoghi in cui vivono e lavorano.
L’organizzazione ha richiesto una fattiva collaborazione di tutto il Comitato Giovani, della sede centrale di Assoenologi a Milano e dei referenti universitari.
Il primo marzo scorso, dopo i saluti del presidente Riccardo Cotarella e dei vicepresidenti Pierluigi Zama e Massimo Tripaldi, si è dato il via ai lavori della giornata.
Lo sponsor della degustazione è stata la Amorim Cork, che con il suo amministratore delegato Carlos Veloso Dos Santos, ha presentato gli obiettivi e i traguardi raggiunti nel corso degli ultimi anni dall’azienda. La Amorim ha da tempo intrapreso un percorso virtuoso che porta questa grande multinazionale ad essere attentissima alla sostenibilità e alla qualità dei tappi che immette sul mercato. L’azienda è inoltre un modello di riferimento per le sue politiche di welfare nei confronti dei propri collaboratori.
La parola è poi andata alle professoresse Angelita Gambuti e Paola Piombino, del Dipartimento di Agraria dell’università Federico II di Napoli, che hanno passato in rassegna le caratteristiche dei suoli vulcanici, le loro origini, la loro composizione, e come queste vadano ad influenzare le caratteristiche aromatiche e gustative dei vini.

 

I Campi Flegrei

 

Poi è stata la volta di Francesco Martusciello, enologo e coordinatore dei Giovani per il Centro–Sud, che ha esposto con passione le peculiarità del territorio e le caratteristiche dei vini dei Campi Flegrei: “Raccontare i Campi Flegrei a tanti studenti e docenti di ogni parte d’Italia mi ha emozionato e inorgoglito – ha detto Martusciello – Emozione che si è fatta ancora più grande perché ho potuto rappresentare il mio territorio attraverso i vini dell’azienda della mia famiglia, la cantina Salvatore Martusciello”.
I Campi Flegrei sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli di origine antichissima. Sono diversi crateri e piccoli edifici vulcanici, situati all’interno di un’enorme caldera, attiva da più di 80.000 anni. Due grandi eruzioni ne hanno determinato la formazione geologica. Quella dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e quella del Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa). Pertanto, i suoli ricchi di ceneri, lapilli, pomici, tufi e microelementi determinano nelle uve e nei vini aromi e sapori assolutamente unici.
I vigneti a “piede franco”, gestiti da sapienti viticoltori, costituiscono motivo di grande interesse produttivo. Lì dove ancora oggi sussistono piante ultracentenarie che con un portamento molto espanso crescono fino a due metri di altezza tutorate a pali di castagno (sistema tradizionale noto come “Spalatrone”). Questi vigneti sono un patrimonio genetico unico nel panorama vitivinicolo italiano, che sta alla base della ricchezza ampelografica e della biodiversità viticola di questo territorio.
La vite, anche su impianto moderno a controspalliera, viene coltivata ad altitudini comprese tra i 50 e i 200 metri, e quasi interamente su piccoli terrazzamenti che guardano il mare e che beneficiano della mitezza del clima e della ventilazione costante.
La Doc Campi Flegrei nasce nel 1994. L’area di produzione tra le più ricche per storia e bellezze naturalistiche, si estende su sette comuni (l’intero territorio di Procida, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, e parte di Marano di Napoli e Napoli) attorno alla città di Napoli. La base ampelografica del vigneto flegreo è costituita principalmente da due vitigni: La Falanghina e il Piedirosso. Gli stessi vitigni li abbiamo ritrovati in degustazione vinificati come Campi Flegrei Doc 2021 Settevulcani rispettivamente nella versione Piedirosso e Falanghina.
I vini flegrei si arricchiscono dei sali minerali delle sabbie vulcaniche risultando agili e snelli all’assaggio, invitano alla beva con una freschezza balsamica e una sapidità intensa.

L’Etna

 

Quando si è passati al territorio etneo è stato il giovane collega Alessandro Serughetti a presentare il proprio territorio arricchendolo di numerosi aneddoti.
“L’Etna è il vulcano più attivo e il più alto d’Europa con un’altitudine ad oggi stimata di 3.354 metri con eruzioni frequenti – ha spiegato – Lo scorso anno, ad esempio, si sono registrate più di 51 colate laviche che hanno portato l’Etna a raggiungere un’altitudine diversa dall’anno precedente”. “L’Etna – ha aggiunto Serughetti – è in continua evoluzione, oltre ad essere unico per il suolo, ricco di minerali, come potassio, ferro e magnesio, anche da punto di vista climatico”. “Le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, la ventilazione costante e le precipitazioni annue creano un ambiente ideale per la coltivazione delle viti”, ha detto ancora il giovane enologo. Nel corso della degustazione Serughetti si è espresso così: “Sono felice di portarvi idealmente in Sicilia, ed in particolar modo dell’areale Doc Etna, un disciplinare nato il 25 settembre del 1968. La Doc Etna è l’unica doc siciliana che abbraccia tra i 400 e i 1000 metri sul livello del mare, fattore importante per la qualità delle uve. La nuova mappatura realizzata dal Consorzio Doc Etna, con la collaborazione dell’Università di Catania e Milano-Bicocca, è stata presentata nel 2022. Un progetto lungo fatto di studi ma soprattutto ricerca”.
“Come si evince dalla nuova mappa la Doc Etna è una C capovolta divisa in 4 macro aree: versante nord, est , sud est, e sud ovest. A sua volta le macroaree sono divise in microaree, chiamate contrade, con un totale di 142, illustrate con colori diversi”.

“Le macroaree – ha spiegato ancora l’enologo – sono climaticamente molto diverse, specialmente in termini di umidità e piogge: più caldi e siccitosi i versanti nord e sud-ovest, più umidi e piovosi i versanti sud e sud-est, a causa delle correnti marine provenienti dal mar Ionio che raffreddano salendo di altitudine e scaricano la loro umidità. Correnti che invece nel versante nord si comportano in maniera opposta, riscendendo di altitudine”.

“La zonazione è stata realizzata per caratterizzare ogni singolo versante con il proprio profilo pedoclimatico, microclimatico e di altitudine – ha ancora spiegato – Gli ettari vitati nella zona dell’Etna stanno crescendo. Infatti, nella vendemmia 2021 la Doc Etna ha visto rivendicare produzione da 398 viticoltori dei quali il 48% possiedono meno di un ettaro”.
“Andando a parlare dei vini che abbiamo in degustazione possiamo partire dall’Etna bianco Camporè Tenute San Lorenzo; vino composto al 70% da Carricante e al 30% da Catarratto. Questo blend – ha sottolineato Serughetti  – è abbastanza usuale per la Doc Etna bianco, e riesce ad esprimere attraverso il bicchiere piacevoli note di fiori bianchi supportati da una sempre presente mineralità. Sapido in bocca e persistente a lungo”.

“Passando poi al rosso, il vino in degustazione è l’Etna rosso Murgo Tenuta San Michele: Nerello Mascalese 100%. Il Nerello fermenta prima in acciaio per una decina di giorni, per poi affinare in barrique per 18 mesi, dando vita ad un vino molto complesso e soprattutto con un lungo potenziale di invecchiamento. Infine – ha concluso l’enologo – vorrei ricordare l’ambiente ed il paesaggio etneo caratterizzato da due elementi unici: il castagno, utile per realizzare i tutori che sostengono le viti e la roccia vulcanica che permette di realizzare terrazzamenti con muretti a secco, utili all’agricoltura e alla stabilità del suolo, oltre che anticamente usata per costruire case e gli antichi palmenti”.

La zona del Vulture

 

Si è andati poi in Basilicata, nella zona del Vulture, dove l’enologo Donato Gentile ha potuto parlare dei suoi vini e della sua terra, così legata alla viticoltura da millenni e ancora oggi spinta da una forza giovanile di rinascita e sviluppo.
Il vulcano, non più attivo già da epoche protostoriche, è quiescente.
“L’area vulcanica – ha introdotto Gentile – si colloca all’estremo nord della Basilicata, comprende il monte Vulture (1.326 metri), rilievo isolato a forma conica, esteso per circa 45.000 ettari e solcato da una serie di valloni. Alle pendici del Monte Vulture si trova un cratere che contiene i due laghi vulcanici di Monticchio, località di forte attrazione turistica. Le colline argillose sono composte da rilievi dalle forme sfumate, tra i 500 e gli 800 metri. Alle pendici del Vulture il territorio è principalmente costituito da roccia vulcanica interessata direttamente dalle colate laviche. Questo tipo di terreno è riscontrabile nei paesi più vicini al cratere come Atella, Barile, Rapolla, Rionero, Ripacandida e parte di Venosa. Mentre le aree un po’ più distanti sono costituite da terreni più sabbiosi dove sono arrivate le ceneri e i lapilli delle eruzioni”.
“I terreni dell’area del Vulture – ha detto ancora l’enologo – sono costituiti dalla forte presenza di sali minerali che determinano di conseguenza anche il profilo dei vini ottenuti da questi territori.
L’area del Vulture, con duemila ettari vitati, è interessata dalla produzione di vini che seguono i disciplinari Igp Basilicata, doc Aglianico del Vulture e docg Aglianico del Vulture. La Doc Aglianico del Vulture nata nel 1971 è tra le prime doc istituite in Italia e prevede l’utilizzo in purezza di un solo vitigno, l’Aglianico del Vulture”.
“I vini in degustazione soni stati 2, l’Aglianico del Vulture Docg e il moscato Basilicata Igp, prodotti dalla Cantina di Venosa, che nasce nel 1957 dall’iniziativa di 27 soci. Attualmente investe una superficie vitata di 800 ettari con circa 300 soci, i due vini in degustazione sono stati il Carato Venusio 2013 Docg e il dry Muscat terre di Orazio 2022 Basilicata Igp Moscato”, ha evidenziato Gentile.
“Il Dry Muscat è risultato avere, oltre le caratteristiche tipiche del vitigno, anche una spiccata mineralità e sapidità, frutto sicuramente dell’interazione con il territorio vulcanico.
Il Carato Venusio 2013 a distanza di 10 anni dalla sua vendemmia è un vino ancora giovane, dal carattere forte, irruento e ricco di personalità, le note di pietra focaia e spezie, richiamano il carattere vulcanico.
Gli studenti hanno potuto apprezzare un Aglianico che con piacere porto sempre in degustazione e stupisce per longevità e integrità”, ha concluso l’enologo.

 

Conclusioni

 

Passando alle conclusioni, le geografia dei vulcani attivi o spenti copre tutta Italia. Questi hanno dato origine a terreni che col tempo si sono rivelati adatti alla viticoltura.
Raccontare i vini vulcanici è un’impresa difficile, che molti autori fin dall’antichità hanno affrontato. Ci sono tante anime, mondi, climi, terreni, vegetazioni, esposizioni; ma è questa complessità ad affascinare l’uomo da secoli; tanto da diventare fonte di ispirazione per miti e leggende, di mare e di montagna.
Siamo abitanti della Magna Grecia, con una storia millenaria di coltivazioni, in condizioni pedoclimatiche difficilissime. Struttura fisica, pendenze, composizione chimica, escursioni termiche, sono solo alcune delle difficoltà che i viticultori con tenacia e perseveranza hanno affrontato nel corso dei secoli. Tramandando conoscenze e tradizioni, preservando la biodiversità e la ricchezza ampelografica delle aree. L’impronta dell’uomo è ben visibile, così come la sua caparbietà nel difendere ogni singola “Vita di Vite”.
Ne sono nati paesaggi unici fatti di muretti a secco, coltivazioni, terrazzamenti, e la viticoltura non si è mai fermata. Oggi tutto quel lavoro ha un valore per i territori e un ritorno economico e turistico.
Lì dove le viti sono franche di piede, hanno straordinaria resistenza, longevità e forza per affrontare avversità, climi e microclimi diversi. Le componenti aromatiche vengono esaltate e il vino risulta essere fresco, di ottima beva, equilibrato, ricco ed estremamente longevo.
Il cambiamento climatico con l’incremento delle temperature ambientali, lunghi periodi di siccità, scarsa sostanza organica nei terreni, aumento dei gas serra nell’atmosfera; influenzano il metabolismo della vite. Abbiamo fioriture e maturazioni anticipate, incremento degli zuccheri e dei pH e diminuzione degli acidi. Uno stravolgimento quindi, di identità e territori che porterà nel futuro e alla scomparsa di alcune produzioni tipiche.
Come spesso è successo nella storia, l’essere umano ha saputo adattare le proprie tecniche agricole ed agronomiche ad un terreno ostile.
Cerchiamo di far tesoro di questi insegnamenti perché i vini vulcanici possono essere spunto per l’uomo e la viticoltura ancora da venire.