Assoenologi, un colpo di genio lungo 130 anni

di Riccardo Cotarella

 

Se oggi esiste la figura dell’enologo lo dobbiamo ad Arturo Marescalchi e Antonio Carpenè. La loro intuizione, di varare nel 1891 la Società degli enotecnici italiani, fu semplicemente geniale, soprattutto se rapportata a quell’epoca. Ma se siamo qui a celebrare i 130 anni dalla nascita di Assoenologi e ci apprestiamo a vivere il 75° Congresso nazionale, un grazie di cuore va rivolto a tutti coloro che nei decenni hanno dato l’anima per la nostra associazione, a cominciare dai presidenti che ci hanno preceduto e che ci hanno consegnato, ormai qualche anno fa, un’entità viva, autorevole, rappresentativa del mondo enologico italiano e internazionale. Tra questi: Narciso Zanchetta, Ezio Rivella, Pietro Pittaro, Mario Consorte e Giancarlo Prevarin.

Essere al timone di Assoenologi è motivo di grande orgoglio, perché sono consapevole di rappresentare migliaia di colleghi appassionati, preparati e che amano profondamente il proprio lavoro. E vi prego di credermi, non sono parole di circostanza e tanto meno attingono nei calamai della retorica. Sono parole che nascono da una profonda convinzione, maturata nello stare quotidianamente a contatto con chi questo mestiere lo fa davvero sul campo. Erano mesi che, impazientemente, attendevo questo momento. Attendevo la possibilità di scrivere l’editoriale che ci avrebbe condotto di nuovo a un Congresso in presenza. Adesso che quel momento è arrivato, l’emozione che provo non sono in grado di descriverla compiutamente, ma vi assicuro che è immensa. Anche se, purtroppo, non sarà ancora un Congresso aperto a tutti, dovremo adottare la formula mista tra presenza e distanza, come le norme anti Covid ancora impongono. I posti a disposizione sono limitati, ma rispetto a un anno fa il passo in avanti compiuto è grande e spalanca le porte alla speranza e all’ottimismo. Giustificati anche e direi soprattutto, dal risveglio dei mercati: è bastato tornare un po’ alla normalità perché le vendite del vino tornassero ai livelli pre-pandemia. Numeri che ci danno fiducia e ci caricano anche di nuove e più grandi responsabilità, soprattutto a noi enologi che siamo i veri ambasciatori del vino italiano.
Siamo chiamati a sfide continue in un mondo che cambia rapidamente e a queste sfide non possiamo e non vogliamo sottrarci. Anzi, spetta a noi indicare la rotta. Tocca a noi guidare i processi di rinnovamento, pur mantenendo saldi i valori della gloriosa tradizione dell’enologia italiana. E poi, come non ricordare i produttori. La nostra storia si intreccia con quella di migliaia di vignaioli che dedicano una vita intera alla coltivazione della vite e alla lavorazione della terra e che sempre più spesso è più numerosi ci affidano la responsabilità della qualità, e non solo, dei loro vini. La loro passione e il loro sudore merita rispetto, che per un enologo significare mettere a disposizione tutto il suo sapere e la sua conoscenza, così da tradurre le uve in grandi vini. E questo lo facciamo puntualmente e ne dobbiamo essere fieri.

Ho iniziato questo editoriale citando i padri fondatori di ciò che è oggi Assoenologi, ma il mio pensiero non può e non deve essere rivolto solo al passato. Anzi, in questo tempo che stiamo vivendo abbiamo più che mai bisogno di guardare al futuro. Dopo due anni contrassegnati dalla sofferenza, adesso è come se si fosse aperto un nuovo capitolo dell’umanità e noi enologi vogliamo contribuire a scrivere nuove pagine di storia. In tal senso chiedo aiuto e faccio appello alle nuove generazioni che avanzano. Sono sempre più le ragazze e i ragazzi che approdano nelle università italiane con il sogno di diventare un giorno enologi, professione sempre più attraente È qualcosa che riempie il cuore e dà una prospettiva al mondo del vino. Concludo rivolgendomi proprio alle nuove generazioni che avanzano: impegnatevi, amate ciò che andrete a fare e sappiate osare. A chiedervelo è la storia dell’enologia, anche attraverso la quale il nostro è diventato un grande Paese.