Per un futuro green serve un’agricoltura protagonista

di Paolo Brogioni

 

Cia-Agricoltori Italiani è presente in circa 5 mila Comuni italiani, con sedi regionali, provinciali e zonali, oltre ad avere una rappresentanza a Bruxelles. È tra i membri del Copa (Comitato delle organizzazioni professionali agricole dell’Unione europea) e dell’Oma (Organizzazione mondiale agricoltori). Dà voce a 900 mila iscritti in Italia, ai circa 400 mila di Anp, l’Associazione nazionale pensionati, ai 37 mila giovani imprenditori agricoli di Agia e alle 10 mila imprenditrici dell’associazione al femminile “Donne in Campo”. Sono più di 4 mila gli agriturismi associati e 5 mila le aziende che fanno vendita diretta con “La Spesa in Campagna”, mentre Anabio, l’Associazione per la promozione del biologico, si attesta a circa 9500 aziende. Infine, nel 2020, è nata con Cia, PescAgri, l’Associazione pescatori italiani promossa per la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione di pesca e acquacoltura in ogni sua accezione professionale e territoriale.
L’organizzazione ha, al suo interno, anche un ente di formazione, “Agricoltura è Vita”, ed è promotrice di diversi riconoscimenti per incentivare le migliori pratiche agricole. Tra questi il “Premio Bandiera Verde Agricoltura”, giunto alla sua XIX Edizione.
Dal 2019, anticipando il dibattito sulle priorità per il futuro, anche in ottica green, Cia-Agricoltori Italiani ha scelto, ancora una volta, la prima linea e proposto “Il Paese che Vogliamo” progetto di riforma per cambiare l’Italia, attraverso un dialogo serrato e costruttivo tra istituzioni, enti e associazioni, nazionali, regionali e locali.
Parliamo di questo, della pandemia e dei risvolti anche per il settore vitivinicolo, con il presidente nazionale, Dino Scanavino.

 

 

Più di due anni fa, il progetto Cia “Il Paese che Vogliamo” arrivò sui tavoli del governo come un appello a rinnovare l’Italia partendo da temi strategici come l’ammodernamento delle infrastrutture e una nuova gestione del territorio, puntando sulle aree interne e su un ruolo da protagonista per l’agricoltura. Poi è arrivato il Covid e ha fatto, in qualche modo, da lente di ingrandimento. Qual è la vostra riflessione in merito?

Cia-Agricoltori Italiani promuoveva una partecipazione attiva nei momenti di concertazione, su temi dirimenti per lo sviluppo del Paese, fra le parti socioeconomiche e le diverse articolazioni del governo del territorio. La pandemia ne ha palesemente evidenziato l’urgenza. Basti pensare a quanto emerso durante l’emergenza Covid, relativamente al rapporto tra Stato e Regioni o, ancora di più, alle condizioni del Sistema sanitario nazionale, soprattutto nelle aree rurali del Paese, dove il mondo agricolo si è dimostrato il vero collante sociale, anche a tutela della salute delle comunità. Tra l’altro, entrando nello specifico, con i produttori vitivinicoli tra i più attivi non solo nel bilancio agroalimentare Made in Italy, ma anche a difesa e manutenzione del paesaggio e dei servizi connessi sul territorio.
Il comparto agricolo e agroalimentare ha affrontato la pandemia con grande senso di responsabilità, pur di garantire continuità e approvvigionamenti quotidiani. Eppure, non è stato al riparo da pesanti ripercussioni in termini di perdita del fatturato. Il mercato interno del vino, nell’anno della pandemia, ha perso un quarto del proprio valore e più del 50% degli ordini globali provenienti dall’Horeca internazionale. Lo stop interminabile cui sono stati costretti hotel, ristoranti e bar, il divieto imposto a fiere ed eventi, hanno mandato in fumo il guadagno di miliardi e ci vorrà tutto il 2022 prima di rimettere in sesto un settore che nel 2019 fatturava nel mercato interno 11 miliardi, facendo del Paese il primo produttore mondiale di vino, incassando nel 2018 più di 6 miliardi di euro. Parliamo di un giro d’affari cui contribuiscono, con grande capacità imprenditoriale, anche piccole e medie imprese del settore vitivinicolo che Cia rappresenta. Sono realtà forti nel metodo e nel merito che hanno affrontato con intraprendenza le sferzate della crisi economica dovuta al Covid, soffrendo per giacenze importanti, ma reagendo anche con prontezza a nuove dinamiche commerciali. Ha contribuito alla tenuta, la rapidità d’azione sui canali e-commerce, ma anche nelle consegne a domicilio, nella cura del rapporto con i consumatori e i buyer esteri, attività che Cia ha agevolato subito fornendo agli associati, iniziative e servizi online, oggi terreno fertile per far ripartire le vendite e rilanciare l’export.

Mentre l’Italia si vaccina e si prepara a vivere l’estate, si può rapidamente ridare impulso alle imprese agricole, produttrici di vino o agriturismi, senza che perdano altro fatturato e una stagione preziosa di guadagno?

Accelerare è in qualche modo quello che ci ha chiesto l’Europa con il Pnrr, ma non dobbiamo dimenticare che va fatto con criterio. Non si tratta semplicemente di portarci a casa i 2 miliardi del fondo per la transizione ecologica previsto per l’Italia dall’Ue, ma di essere rapidi nel dialogo tra parti sociali e istituzioni per la definizione di strategie e programmi adeguati. Questo, mentre in conferenza Stato-Regioni non facciamo che registrare continui ritardi che raddoppiano il carico sulle imprese agricole che nel frattempo devono cavarsela anche contro i danni del maltempo, far fronte al dissesto idreogeologico, arginare il proliferare indisturbato, ma pericoloso, degli animali selvatici. Alle imprese serve liquidità e accesso al credito. Su questo il governo deve fare una riflessione importante, snellire la burocrazia e innovare nell’approccio e nel confronto con gli attori coinvolti anche per esempio sui temi relativi ai cambiamenti climatici.

 

Con il Next Generation EU e il Pnrr, l’Italia è posta dinanzi a grandi sfide e opportunità. Lei guarda spesso all’Europa con quest’ottica, ma come il governo può investire in modo strategico le risorse ora a disposizione?

Intanto riconoscendo un ruolo da protagonista all’agricoltura così come al turismo. Risulterà scontato in questo contesto, ma abbiamo dalla nostra, dopo l’esperienza della pandemia, anche l’evidenza dei fatti.
Nel concreto, è necessaria una programmazione pluriennale con azioni specifiche per destinare fondi ingenti a misure e strumenti, utili a modernizzare e digitalizzare il settore agricolo, e nello specifico vitivinicolo, per rendere sempre più sostenibili e competitivi i

produttori, avendo a disposizione tecnologie innovative per la scelta di tecniche culturali e input produttivi, razionalizzazione delle risorse, raccolta dati, tracciabilità delle filiere e blockchain. Va incentivato il rinnovo del parco macchine agricole, se si vogliono imprese che lavorino in sicurezza e siano anche moderne e green. Servono robusti investimenti nelle infrastrutture, nei servizi e nella digitalizzazione, a partire dalle aree interne dove ancora nel 40% delle case non arriva il wi-fi. Non meno strategica, la creazione di sistemi produttivi a vocazione territoriale, coinvolgendo agricoltori, artigiani, commercianti, logistica, turismo, enti locali e consumatori. Serve un poderoso sostegno alla promozione e alla maggiore internazionalizzazione del comparto vinicolo italiano. Occorre, infine, puntare sul recupero e la ristrutturazione di fabbricati rurali, nei piccoli centri e borghi, in un’ottica abitativa e eno-turistica, per frenare lo spopolamento dei territori e il loro impoverimento agricolo, ambientale e paesaggistico. Sul fronte interno, ci aspettiamo ancora molto dal Decreto Sostegni bis. Positivo l’esonero contributivo per i settori più colpiti dalla pandemia come il vitivinicolo, ma vanno aumentate le risorse per riparare ai danni delle gelate della scorsa primavera. Va rifinanziata la Nuova Sabatini e reintrodotta la cessione del credito d’imposta 4.0.

 

E dall’Europa in merito alla riforma della Pac, cosa vi aspettate?

Dopo tre anni dalla presentazione della proposta legislativa, con l’accordo raggiuto nel “super trilogo” a Bruxelles, da Parlamento, Consiglio e Commissione Ue, finalmente l’agricoltura europea si avvia verso una reale riforma della Pac 2023-2027 più equa, sostenibile e per gli agricoltori. Ora, però, occorre subito un lavoro serio con il Piano strategico nazionale per salvaguardare la competitività delle imprese agricole.
La Pac deve rimanere, prima di tutto, la politica economica per gli agricoltori e, quindi, costante opportunità di sviluppo imprenditoriale, oltre che strumento utile a rigenerare e valorizzare le aree rurali. Va, dunque, definito il Piano strategico nazionale per permettere agli agricoltori italiani di essere all’altezza del cambiamento che gli si richiede, che mostri nei fatti di riconoscere le specificità del settore e le sfide oggi spinte da emergenza sanitaria e climate change. Serve ragionare con tutti gli attori coinvolti sul territorio, come richiesto dal progetto Cia ‘Il Paese che Vogliamo’, e come è necessario a un’agricoltura sempre più settore strategico per l’Italia e l’’Europa.