Ombre e luci del cambiamento climatico

di Riccardo Cotarella

 

Vent’anni di clima pazzo. Era esattamente l’estate del 2003, la più calda e lunga di sempre, quando toccammo con mano i primi effetti dovuti ai cambiamenti climatici. Da allora il tempo, inteso come meteorologico, non è stato più lo stesso dei decenni precedenti. Le estati sono state sempre più torride e le piogge sempre più a carattere alluvionale. Fenomeni estremi, dove siamo passati dagli oltre 40 gradi di luglio, alle gelate fuori stagione di aprile. Da grandinate che hanno abbattuto tutto ad alluvioni che hanno messo sott’acqua intere regioni. Basta mettere a confronto l’inizio dell’estate che stiamo vivendo con quella di un anno fa per renderci facilmente conto che ormai ci dobbiamo adattare a situazioni climatiche quantomeno strane. Nel 2022 siamo stati chiamati a gestire una carenza di piogge mai vista prima. Nel 2023, almeno nel Centro-Sud d’Italia, abbiamo avuto un aprile, maggio e giugno talmente umidi e piovosi che non ricordo di aver mai vissuto nei miei 56 anni da enologo. Per restare sull’attualità, è giusto ricordare che questa strana estate sta causando serissime malattie patogene in vigna, a iniziare dalla peronospora e dall’oidio. In alcune zone del Paese registreremo un calo della produzione di uve del 50 se non addirittura del 60%. Danni ingenti che avranno un impatto fortemente negativo su tantissimi produttori. Per tentare almeno di mitigare gli effetti dei patogeni c’è voluta davvero tutta la sapienza, la professionalità e la scienza che noi enologi sappiamo portare prima in vigna e poi in cantina. Siamo stati chiamati a mettere in campo una viticoltura di alta precisione con interventi adeguati per tipologia, quantità e tempistica al fine di salvare i grappoli rimasti sani che, purtroppo, non sono stati molti in varie regioni d’Italia. Questo comporterà un sicuro calo della produzione, ma se la conduzione enologica sarà stata fatta a regola d’arte – non ho dubbi in tal senso – sono certo che riusciremo a portare sui mercati dei grandi vini anche dalle zone più in sofferenza.

Ma in questo editoriale, come si evince anche dal titolo, non intendo soltanto sottolineare la negatività dei cambiamenti climatici, perché a mio avviso sarebbe davvero riduttivo, forse superficiale e sicuramente non veritiero. Parto da una considerazione che a mio avviso è inconfutabile sotto il profilo oggettivo: l’enologia degli ultimi venti, venticinque anni ci ha regalato i vini migliori di sempre su tutto il territorio nazionale. Sicuramente le nuove tecniche, le sperimentazioni, la crescita professionale di noi enologi e complessivamente di tutto il comparto della vitivinicoltura è stato un fattore importante per innalzare la qualità media dei nostri vini, fino a toccare punte di assoluta eccellenza. Ma altrettanto importanti, a nostro avviso, sono stati gli effetti che i famigerati cambiamenti climatici hanno apportato alle nostre stagioni e quindi ai nostri vigneti. Per non venire travisati, c’è da puntualizzare che non stiamo parlando, ovviamente, di quei fenomeni estremi che in questi due decenni si sono abbattuti sul Paese, portando spesso anche dolore alle popolazioni colpite, ma ci riferiamo a quella mutazione climatica non catastrofica, ma comunque ben percepita da tutti soprattutto nei mesi estivi. Prima del 1995-2000 la qualità dei nostri vini era esclusivamente ad appannaggio di alcune – poche – aziende e non era certo espressione dei territori. Poi, in concomitanza con gli anni sopra citati, è esplosa la qualità e ciò è avvenuto, da una parte con il risorgimento culturale e scientifico della conduzione enologica, ma dall’altra anche in concomitanza con i cambiamenti climatici. Le alte temperature – entro certi limiti – hanno permesso di anticipare la maturazione di tante uve autoctone e tardive come, tra gli altri, il Montepulciano, il Sangiovese, il Nebbiolo, il Gaglioppo, la Falanghina, il Greco, l’Aglianico e quindi portarle fuori dal periodo autunnale caratterizzato dalle piogge. Le vendemmie anticipate ci hanno permesso in questi vent’anni di raccogliere uve sane e quindi di produrre vini eccezionali. E questo è stato un merito e non certo una colpa del nuovo clima che si è affacciato sul nostro straordinario Paese. Al resto ha pensato la professionalità degli enologi, altrettanto straordinaria.