Giansanti: la nostra sfida deve essere la sostenibilità

di Riccardo Cotarella

Confagricoltura, oltre a essere la più antica organizzazione di tutela e di rappresentanza delle imprese agricole, si impegna per lo sviluppo delle aziende agricole e del settore primario in generale, a beneficio della collettività, dell’economia, dell’ambiente e del territorio.  Favorisce l’accesso all’innovazione delle imprese, alla sostenibilità delle pratiche agricole e alla competizione delle aziende sui mercati interni e internazionali. Con questo obiettivo è impegnata per la salvaguardia del reddito degli agricoltori; per l’evoluzione della normativa di settore e per la semplificazione; per il superamento dei gap strutturali e dei freni alla competitività; per il libero accesso ai mercati; per la riorganizzazione del sistema produttivo in un’ottica di aggregazioni e reti; per la crescita di filiere intersettoriali; per la tutela del made in Italy.

Al primo posto nella filiera

Confagricoltura opera in tutte le principali sedi istituzionali, nazionali e internazionali, direttamente collegate all’agricoltura o attinenti al settore, come il Cnel, il Copa – Comitato delle organizzazioni agricole europee, il Goepa – Coordinamento europeo delle organizzazioni datoriali, e il Ces – Comitato economico e sociale europeo. È parte attiva di tavoli di concertazione fra parti sociali e governo.
Come sappiamo, il settore vitivinicolo è al primo posto nel bilancio dell’agroalimentare e nel made in Italy nel mondo. Porgo quindi al presidente di Confagricoltura alcune domande.

Massimiliano Giansanti, lei è il presidente della più antica organizzazione agricola italiana e conosciamo bene la sensibilità che questa organizzazione rivolge al comparto vitivinicolo. Come sta affrontando il settore questo particolare momento?
Il settore vitivinicolo è il fiore all’occhiello dell’economia agroalimentare nazionale: il livello qualitativo delle produzioni italiane e il know how delle nostre imprese hanno contribuito negli anni alla leadership dell’Italia nel mercato mondiale del vino.
La storia vitivinicola di Confagricoltura vanta le aziende più importanti del panorama nazionale. Aziende che hanno saputo abbinare le tradizioni familiari alla capacità di innovazione e investimento, crescendo e consolidandosi sui vecchi e nuovi mercati e che sono divenute un riferimento anche per gli altri comparti agricoli.
La crisi economica e sanitaria, dovuta alla pandemia, ha colpito molto duramente il settore vitivinicolo. Oggi soffriamo per un livello di giacenze elevatissimo: i dati diffusi dal Mipaaf indicano uno stock pari a circa 60 milioni di hl e una riduzione dell’export in valore del 2,3% nel 2020 rispetto al 2019 e in volume del 2,4%, con 20,8 milioni di hl e con prezzi che registrano in media una diminuzione del 7,5% rispetto allo scorso anno.
In questi mesi di pandemia e di blocco del canale Horeca si è accentuata la differenziazione fra grandi aziende multicanale e aziende fornitrici di ristoranti, hotel, enoteche e negozi specializzati. Alcune di queste imprese registrano giacenze molto alte per le difficoltà sul mercato nazionale ed estero, il tutto dovuto anche al blocco generalizzato della ristorazione anche a livello internazionale.
Si è assistito di fatto ad uno spostamento di fatturato dalle piccole alle grandi imprese, con un abbassamento del valore del prodotto.
In ogni caso anche per le vendite in Ggo c’è una variazione di tendenza: inizialmente, nei mesi del primo lockdown, la grande distribuzione consentiva alle grandi imprese una marginalità maggiore, mentre adesso risente della più bassa capacità di spesa dei consumatori. Anche in questo canale la situazione sta diventando più complessa.

 

Quali sono le principali preoccupazioni che i produttori vitivinicoli le esprimono?
I ritardi nei pagamenti, i problemi di indebitamento nel lungo periodo e soprattutto la mancanza di una strategia di risposta all’emergenza in grado realmente di aiutare le imprese.
Siamo ad aprile 2021 e non sono state ancora pagate molte delle misure di aiuto introdotte dall’inizio della pandemia. A tale situazione di disagio si aggiungono anche problemi di indebitamento. Le forme di sostegno finanziario proposte dal governo rischiano di aggravare la situazione debitoria a consuntivo. È necessaria una forte riforma del sistema creditizio, un intervento per consolidare il debito delle aziende e ridurne l’impatto su ciascun esercizio, spalmandolo su più anni di quelli oggi previsti.
Le misure che sono state proposte per risollevare il settore non sono state modulate nel modo più idoneo per rispondere alle reali esigenze delle imprese, a partire dalla distillazione, consentita solo per i vini comuni, o lo stoccaggio privato, che non ha riguardato i vini imbottigliati. Ad oggi, dunque, le aspettative per il 2021 sono largamente peggiori rispetto al 2020 ed il quadro emerso delinea un settore ancora in gravi difficoltà.Confagricoltura ha chiesto la mobilitazione di fondi straordinari della UE per gestire la difficile situazione del settore. Senza fondi aggiuntivi dell’Unione sarà difficile, per non dire impossibile, varare con risorse adeguate le misure idonee a tonificare il mercato e le quotazioni.

 

Lei è anche vicepresidente del Copa, la più importante organizzazione dei produttori agricoli europei. Come sta vivendo questa nuova responsabilità?
Sì, sono particolarmente onorato di questo incarico e della fiducia riposta in me anche dalle altre organizzazioni europee. Il Copa – Comitato delle organizzazioni professionali agricole- rappresenta oltre 22 milioni di agricoltori europei ed è composto da 60 organizzazioni di Paesi dell’Unione Europea: questa ampia adesione gli permette di rappresentare sia gli interessi generali, sia quelli specifici degli agricoltori dell’Unione Europea.
Fin dalla sua nascita, il Copa è stato riconosciuto dalle autorità comunitarie come l’organizzazione che parla a nome del settore agricolo europeo ed essere un suo vicepresidente è oneroso per l’impegno necessario, ma al contempo molto appagante per il livello del confronto internazionale che vi ritrovo. Questa esperienza europea mi consente si seguire ancora più da vicino il dibattito sulla riforma della politica agricola comune a Bruxelles, che è arrivato ad un punto molto delicato. Le tre istituzioni europee, Consiglio, Parlamento e Commissione, stanno confrontandosi nei triloghi e definendo il futuro della PAC e del settore per i prossimi anni.

Qual è dunque il dibattito a Bruxelles sulla Organizzazione comune di mercato per il settore vitivinicolo nei prossimi anni?
Durante il confronto di marzo, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno convenuto di estendere il regime delle autorizzazioni agli impianti vitati fino al 2045 con due revisioni intermedie nel 2028 e nel 2040. Oggi, lo ricordiamo, il termine ultimo previsto è per il 2030. Confagricoltura ha articolato una serie di proposte migliorative per la gestione del sistema autorizzativo: l’introduzione di un sistema pluriannuale per la concessione delle autorizzazioni di nuovo impianto, la modifica dei criteri di priorità a favore delle aziende vitivinicole più dinamiche; l’istituzione di una riserva di autorizzazioni non usate dai beneficiari che altrimenti andrebbero perse. Abbiamo anche proposto l’allungamento della durata delle autorizzazioni, sia nuove che da reimpianto, da tre a sei anni per favorire il riposo del terreno.
Sul fronte dell’etichettatura, grazie anche ad un’azione incisiva del Copa, le istituzioni europee hanno individuato un quadro unico e specifico per la dichiarazione nutrizionale e la lista degli ingredienti, consentendo la sola indicazione del livello energetico e consentendo ai produttori di fornire le informazioni off label.
Un dibattito molto acceso c’è stato anche sulle due nuove categorie di prodotti vitivinicoli: i vini totalmente dealcolati (< 0,5°) e i vini parzialmente dealcolati (tra 0,5° e 8,5°). Nei triloghi l’intesa è stata quella di consentire anche ai vini parzialmente dealcolati di fregiarsi delle indicazioni di origine Dop e Igp: vedremo poi il mercato e le scelte nazionali in merito a quali risultati porteranno e se, come auspica la Commissione, ci sarà uno sviluppo di questo tipo di prodotto.
Infine, un accordo sembra sia stato anche raggiunto sulle sei varietà attualmente proibite Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton and Herbemont.e della Vits Labrusca, che invece la Commissione voleva introdurre per la produzione di vino. L’intesa si è trovata per mantenere lo status quo ed è stata accettata la proposta del Parlamento europeo sulla possibilità di reimpianto di vigneti storici di questa varietà, senza aumento di superficie.

 

Guardando al futuro, quali sono le sfide principali del settore vitivinicolo per i prossimi anni?
Senza dubbio la transizione verso una viticoltura sostenibile. La nuova strategia della Commissione “dal produttore al consumatore” ha indubbiamente accelerato in molti comparti agricoli le riflessioni sui percorsi più efficaci per favorire tale passaggio.
Il settore vitivinicolo, prima di altri, ha avviato da alcuni anni ragionamenti e approcci per valorizzare l’attenzione del comparto verso “un uso oculato e consapevole delle risorse” ambientali e non solo. Questi ragionamenti sono stati condotti in risposta a stimoli derivanti dal mercato e che i produttori hanno ritenuto economicamente vantaggioso seguire. Nel tempo sono stati codificati diversi modelli privati di produzione del vino sostenibile che hanno trovato un buon riscontro presso le aziende e generato una risposta confortante nei consumatori. Ora però la sfida sarà implementare uno standard unico nazionale della sostenibilità nel settore vitivinicolo, supportati anche dal Mipaaf. Un modello unico nazionale di certificazione della sostenibilità consentirebbe di quantificare i benefici prodotti dagli impegni a giustificazione degli eventuali incentivi futuri, e permetterebbe al settore vitivinicolo di dotarsi di uno strumento competitivo sempre più importante nel mercato internazionale. L’attenzione sullo standard unico è molto alta, e l’auspicio del settore è che si possa passare rapidamente alla fase applicativa, in modo da poter certificare il vino prodotto secondo gli standard nazionali di sostenibilità.
Una viticoltura sostenibile non potrà non confrontarsi con l’uso di vitigni resistenti e con le nuove tecniche per ottenerli, come la cisgenesi e il genome editing. Si parte dai “genitori nobili”, i vitigni originari, per ottenere, con tecniche non Ogm, vitigni resistenti a mutamenti climatici e ad agenti patogeni e che quindi permettono di ridurre fino al 70% l’uso di fitofarmaci. Tecniche verso cui tuttavia permangono troppi pregiudizi, con gli ostacoli derivanti in primis dalla legislazione europea che le equipara agli Ogm, bloccandone di fatto la diffusione, e dalla burocrazia che prevede iter autorizzativi lunghi e complessi. Il nostro auspicio è che questi ostacoli possano essere a breve superati, in modo da dare nuovo impulso alla ricerca e alla sua applicazione in campo, a beneficio dell’ambiente, dell’economia e della società.