ABBONA: DAL TAVOLO DI FILIERA AL RECOVERY PLAN, LE SFIDE PER IL FUTURO DEL VINO ITALIANO

di Riccardo Cotarella

Nata nel 1895 a Milano, due anni dopo la nascita di Assoenologi – l’Unione Italiana Vini ha attraversato, lungo i suoi quasi 130 anni di vita, la storia moderna del vino italiano, cambiando più volte forma e struttura organizzativa (financo nel nome, nasce infatti come Unione Lombarda fra i Negozianti di Vino) per essere sempre in grado di rappresentare la parte imprenditoriale più avanzata del settore vitivinicolo italiano. Nel suo lungo percorso, Uiv ha intrecciato molto spesso, e a diversi livelli, le proprie vicende storiche con Assoenologi e con le altre associazioni della filiera, arrivando oggi a rappresentare oltre 660 aziende su tutto il territorio nazionale che esprimono il 50% del fatturato complessivo del comparto e l’85% dell’export. Una compagine associativa ricca e articolata che, soprattutto in questi ultimi due decenni, è stata capace di riunire tutte le figure della filiera vitivinicola: dal viticoltore alle cantine cooperative, delle aziende verticali a quelle industriali e commerciali. Il confronto costante fra tutte queste componenti – sviluppatosi in questi anni all’interno del Consiglio nazionale e nei “Tavoli di lavoro” che, istituiti nel 2013, hanno organizzato l’elaborazione politica e l’approfondimento delle tematiche di attualità all’interno dell’associazione – è oggi un punto di forza di Unione Italiana Vini. Proprio per la consapevolezza della complessità ma anche della necessità del confronto fra le diverse anime della filiera, Uiv si è fatta attiva promotrice, seppur non da sola, del “Tavolo dei presidenti di filiera”, diventato uno snodo fondamentale nel dialogo con la politica e le istituzioni. Una sensibilità verso le altre associazioni del settore che ha portato a rafforzare il rapporto con Assoenologi, culminato nella decisione, per certi versi storica, di unire le forze nell’importante lavoro delle previsioni vendemmiali che, nelle ultime tre edizioni, sono state elaborate e presentate congiuntamente da Uiv, Assoenologi e Ismea. Ed è proprio da qui che prendiamo le mosse per l’intervista con il presidente, Ernesto Abbona.

Il “Tavolo di filiera” è stato uno strumento importante nel dialogo con la politica e le istituzioni: ma ritieni potrà continuare ad esserlo anche in futuro?
Assolutamente sì, perché fin quando la rappresentanza avrà un senso e un suo motivo d’essere, le associazioni che esprimono le diverse anime del vino italiano dovranno continuare a ritrovarsi in un luogo di confronto e sintesi così da portare avanti battaglie comuni a favore del settore. Nell’era dei social e di una politica che in passato ha cercato di “disintermediare” la rappresentanza e il dialogo con le forze produttive, ritengo che il ruolo e la funzione delle associazioni siano, paradossalmente, diventate ancora più forti e importanti. Purché, però, si sia in grado di superare interessi e logiche di parte, rinunciare a facili protagonismi, a favore dell’interesse collettivo.

E a proposito di crisi, distillazione e vendemmia verde non hanno avuto l’effetto atteso. Segno che il vino italiano non ne aveva bisogno? Abbiamo sofferto meno rispetto ad altri comparti del made in Italy?
Il mercato del vino nel 2020 non è crollato, come invece altre bandiere tricolori, anche se in certi segmenti ha sofferto, e continua a soffrire, molto. Penso al turismo, alla ristorazione, al mercato degli eventi che sono arrivati a registrare perdite fino all’80% del fatturato e che hanno trascinato con loro anche il vino italiano. Un contesto dove abbiamo avuto bisogno, e continueremo ad averne anche quest’anno, di un supporto pubblico pure attraverso misure economiche di sostegno che, però, dovremo mirare diversamente, ascoltando meglio le diverse anime della filiera. La distillazione di crisi, la riduzione delle rese così come la misura dello stoccaggio hanno aiutato molte aziende ma in misura minore rispetto a quanto alcuni di noi si attendevano.

L’emergenza ha impattato in maniera strutturale sul sistema del vino italiano, quale sarà la “nuova normalità” dopo questa esperienza?
La storia non si ripete mai e i ritorni al passato, come ben ci insegnano i corsi e ricorsi di vichiana memoria, non sono mai identici a come li abbiamo vissuti perché la storia cambia i contesti oltre che le persone. L’esplosione del digitale lascerà un segno, così come il nuovo corso della grande distribuzione che, favorita da questi mesi di lockdown, cambierà il suo atteggiamento verso il vino. Il turismo, la ristorazione e l’Horeca hanno subito un colpo durissimo dalla crisi, ma sono convinto che ne emergeranno operatori che riusciranno ad essere vincenti e ancora più forti e tenaci di prima. Riusciranno ad emergere vincenti della crisi, saranno ancora più forti e tenaci di prima. In questi mesi abbiamo visto il fiorire di una creatività imprenditoriale cui non avevamo mai assistito prima, che ci fa guardare con ottimismo al futuro.

Una situazione fluida, insomma, di cambiamenti profondi. Chi si ferma alle antiche certezze è perduto?
La crisi sta fungendo da acceleratore verso dinamiche legate a una serie di valori e atteggiamenti, anche commerciali, che erano già latenti in epoca pre-Covid, ed è giusto e necessario ascoltare queste tendenze. Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare la nostra identità, in vigna come in cantina e anche nei canali di vendita. Se siamo la seconda superpotenza mondiale del vino, con tutto quello che ne consegue in termini di know how e di forza commerciale, lo dobbiamo alla nostra storia e alla capacità di anticipare i trend di mercato. Ripartiamo quindi da qui, nella coscienza di poter cambiare e migliorare, ma ricordandoci che se negli ultimi 10 anni il nostro export è cresciuto a ritmi molto più sostenuti rispetto ai 4 principali player mondiali, con un trend positivo quasi doppio rispetto a quello francese, qualche motivo ci sarà.

Si può fare lo stesso ragionamento sul fronte dei servizi offerti alle imprese vitivinicole? Come è cambiata nell’anno Covid la richiesta di assistenza da parte delle aziende e come sta fronteggiando l’Uiv questo cambiamento?
Il mondo dei servizi alle imprese del vino è nato insieme all’associazione. Si pensi che risale al 1897 la fondazione del nostro primo laboratorio enochimico, l’anno successivo l’avvio del servizio giuridico e che, nello statuto fondativo dell’associazione lombarda, si parlava di “raccogliere informazioni commerciali e tecniche sull’andamento della produzione del commercio dei vini tanto in Italia che all’estero”. L’antesignano del nostro Osservatorio del Vino, che entrerà nei prossimi mesi nella sua piena funzionalità. L’anima dei servizi, che ha sempre accompagnato l’evoluzione dell’associazione, è arrivata oggi a strutturarsi in diversi ambiti di attività: i laboratori, il servizio giuridico, la consulenza organizzativa, la formazione, la gestione di progetti promozionali e di finanziamenti alle imprese, oltre all’area media che cura il giornale e la comunicazione associativa, e l’area fiere che organizza Simei e Enovitis in Campo. I servizi sono un ambito di lavoro al quale teniamo molto perché è un modo, il nostro modo, per essere quotidianamente vicini agli imprenditori e operatori del settore cercando di rispondere tempestivamente a una domanda che nell’anno Covid è cambiata. Possiamo dire che l’export è stato il driver principale che ha orientato le nuove richieste di assistenza.
Dai quesiti arrivati al servizio giuridico relativi a etichettature e pratiche enologiche conformi per l’export, alle richieste sulle normative che regolano l’importazione del vino nei diversi Paesi del mondo cui abbiamo risposto in maniera organica, costruendo una vera e propria banca dati che raccoglie informazioni aggiornate sulle regole delle dogane di oltre 35 Paesi. Ma, ancora, l’attenzione al commercio oltrefrontiera ha spinto una domanda forte di conoscenza economica dei mercati in tutte le loro diverse sfaccettature (per target, per paese, per canale, per tipologia di vino ecc.) che ci ha fato accelerare nella costituzione del nuovo Osservatorio del Vino, un complesso sistema informatico dove potrà essere consultabile in modo agevole tutto il database quali-quantitativo del Corriere Vinicolo (import-export di tutti i Paesi del mondo, imbottigliamenti, prezzi dello sfuso ecc.), fornendo alle imprese e ai Consorzi uno strumento formidabile di conoscenza e programmazione delle proprie attività.
Nei laboratori, infine, sta crescendo molto la richiesta di servizi “chiavi in mano” che vanno dal prelievo campioni in azienda fino alla risposta in termini di tempi rapidi delle analisi consultabili on-line, e di analisi specialistiche che, oggi, siamo in grado di eseguire come pochi altri player a livello nazionale, grazie agli importanti investimenti sostenuti in questi anni per l’acquisto di attrezzature all’avanguardia.

Da un passato importante a un presente coraggioso, oggi il vino italiano deve guardare al futuro, ormai prossimo, fuori dall’emergenza. Cosa dobbiamo chiedere alla politica e al nuovo governo?
L’agenda politica del vino è complessa e articolata, ma ti risponderò per punti così da essere sintetico. Vanno completati, in tempi rapidi, i decreti ancora mancanti: sostenibilità, flessibilizzazione della promozione e nuova misura stoccaggio, che siamo riusciti ad allargare anche ai vini imbottigliati. Poi, il tema della politica nazionale della qualità e, di conseguenza, la revisione del sistema delle DO. Quindi vino e salute, tema tornato prepotentemente alla ribalta con il piano Ue anticancro, dove sarà necessario un progetto ambizioso di comunicazione a livello italiano ed europeo che valorizzi modelli di consumo responsabile all’interno della dieta mediterranea. A questo proposito siamo orgogliosi che la nostra Associazione abbia ottenuto che il nostro vicepresidente Sandro Sartor sia stato nominato presidente Europeo di Wine in Moderation. Da Bruxelles – dove ha sede – potrà incidere moltissimo su questi temi. Infine la promozione: dobbiamo chiedere l’immediata convocazione del settore vitivinicolo al Maeci per discutere del rilancio dell’immagine istituzionale all’estero e del sistema fieristico, per incrementare le risorse per la promozione (anche sul mercato interno), e spingere sulla Ue perché venga ripreso il dialogo transatlantico – in sede bilaterale e multilaterale – per porre fine alla stagione delle tensioni in materia di politica commerciale (vedi dazi) e prevenire nuovi terreni di scontro.

Nei prossimi mesi ci sarà un’altra sfida dalla portata storica che coinvolgerà il nostro Paese quindi anche il vino italiano: il Recovery Plan. Ancora se ne parla poco nel settore.
Sì, all’interno della nostra associazione abbiamo iniziato a confrontarci sulla necessità di un “progetto vino italiano 2030” che sia in grado di orientare le proposte della filiera verso un “recovery wine”, cioè un set di decisioni strutturali e specifiche per lanciare il settore verso la prossima generazione.
Ci faremo promotori per un confronto allargato tra le associazioni e le forze imprenditoriali consapevoli che la sfida del Recovery Plan va ben oltre i confini del nostro settore, toccando direttamente elementi strutturali del “sistema Paese”. A noi è richiesta una necessaria trasversalità di pensiero in grado di attraversare settori economici differenti per arrivare a coinvolgere attori e amministrazioni territoriali oltre a forze sociali e settori dell’amministrazione centrale.
Mi limito a ricordare solo alcuni capitoli di un libro ancora da scrivere: potenziamento degli strumenti informatici e della banda larga nei territori agricoli; ammodernamento delle infrastrutture, dei trasporti e della logistica; transizione ecologica e produzione sostenibile con, annesso, incremento dei fondi a favore della ricerca scientifica e dell’innovazione; nuovo sistema scolastico e formativo per i giovani; piano nazionale di rilancio del turismo.

Progetti ambiziosi e sfidanti per un mondo, come quello del vino italiano, che ancora soffre l’eccessiva frammentazione non solo di rappresentanza ma anche imprenditoriale.
Certamente sì, ma sono fiducioso. Perché guardo alla capacità dei nostri imprenditori che hanno saputo reagire, anche in quest’anno di crisi, con una fantasia e un coraggio del quale spesso non ci rendiamo conto, e voglio contare sulla maturità dei rappresentanti di filiera – tra i quali ci siamo anche noi, Unione Italiana Vini e Assoenologi – nella loro capacità di superare gli steccati, come abbiamo detto prima, e guardare con occhi nuovi al “bene comune”.
Un modo di pensare e di agire che ha contribuito in maniera determinante a salvare l’Italia e il mondo intero in questo anno difficilissimo e che vorrei rimanesse una delle eredità di questa terribile esperienza che, spero presto, ci lasceremo alle spalle.