Vino e cambiamenti climatici, gli enologi chiamati a vincere la sfida

di Riccardo Cotarella

Dalle gelate fuori stagione di aprile, ai 48 gradi siciliani nel mese di agosto. E per non farsi mancare nulla, anche grandinate e trombe d’aria che si sono verificate nel corso dell’estate, a macchia di leopardo, in tutto il territorio nazionale. Fenomeni meteorologici estremi, figli di un cambiamento climatico in atto da almeno venti anni, che richiedono un nuovo approccio e un nuovo sapere scientifico per chi lavora in agricoltura. Noi enologi siamo chiamati ad affrontare una delle sfide più impegnative di sempre. Anzi, siamo coinvolti in una doppia sfida: risolvere i problemi causati dagli agenti atmosferici e contemporaneamente avviare pratiche sempre più sostenibili per la vita del Pianeta. Un percorso che, a onore del vero, la viticoltura ha già intrapreso da molto tempo, ottenendo importanti e tangibili risultati. Ma oggi, cari colleghi, siamo chiamati a uno sforzo maggiore e sempre guidati dalla scienza, abbiamo il dovere, almeno morale, di provare a migliorare lo stato di salute del mondo. Solo con un’azione concreta e coerente, lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti un luogo migliore dove vivere.
Intanto, c’è da affrontare questa vendemmia 2021. Ci siamo arrivati al termine di mesi molto difficili, sia per le avversità atmosferiche, ma soprattutto per tutte le conseguenze legate all’emergenza Covid che ancora sta condizionando le nostre vite private e quelle dell’economia di impresa.
Ma andiamo per ordine. I meno 5 gradi a ridosso dei giorni di Pasqua ci avevano gettato addosso una forte preoccupazione per quel che sarebbe stato l’effetto della gelata sulla produzione e sulla tenuta stessa dei vigneti. I sopralluoghi, nelle settimane successive a quell’evento, ci fornirono un quadro più dettagliato e per certi versi meno drammatico di quanto si fosse inizialmente ipotizzato. Anche se gli effetti di quelle temperature così rigide, quando le piante erano ormai in risveglio vegetativo, si sono tradotte in alcune zone del Centro-Nord Italia in una diminuzione di produzione piuttosto sensibile. Ma a mettere a dura prova il nostro lavoro di enologi sono le temperature sempre più torride che si registrano in gran parte del nostro Paese. I 48 gradi registrati in Sicilia costituiscono un record nella scala europea del calore e contemporaneamente un grande campanello di allarme. Il caldo torrido e prolungato nel tempo è sinonimo di grave siccità, al punto che in molte zone d’Italia si registra da almeno un paio di mesi una tragica assenza di precipitazioni piovose. E, laddove se ne sono invece registrate, il fenomeno è stato spesso accompagnato da disastrose grandinate. Che, a questo punto della stagione, vanno assolutamente scongiurate, i danni non sarebbero riparabili.

A queste situazioni climatiche così estreme siamo ormai abituati, anche se ogni anno le problematiche a cui siamo chiamati a far fronte sono crescenti e soprattutto nuove. Ma l’obiettivo resta sempre lo stesso e cioè alzare la qualità del vino italiano. Una sfida nella sfida, quindi. Il tema della qualità è centrale da diversi anni, ma dopo oltre 18 mesi di pandemia diventa vitale. Il mondo del vino italiano è chiamato a dare il meglio di sé. Dai viticoltori agli enologi, imbottigliatori e venditori, tutti ci dobbiamo sentire protagonisti di un momento storico unico e irripetibile, sia in termini di difficoltà da superare che di opportunità da raggiungere. L’estate che ci stiamo lasciando alle spalle ci ha consegnato a livello sportivo momenti indimenticabili con la vittoria degli Europei di calcio, cosa che non accadeva da 53 anni, e con tante medaglie conquistate alle Olimpiadi di Tokyo. Adesso tocca a noi cari colleghi perché nell’ipotetico (nemmeno tanto ipotetico) campionato del mondo del vino, l’Italia ha il dovere di provare a primeggiare su tutti e sempre. Al di là delle avversità climatiche o dei virus.