Neuroselling, fiducia e storytelling: il ruolo dell’ossitocina nella comunicazione del vino

di Vincenzo Russo

 

La narrazione commerciale, più frequentemente definibile come storytelling, si basa sulla capacità di emozionare e di creare engagement attraverso il modo con cui un vino viene presentato. Di fatto è una forma di arte narrativa assolutamente necessaria nel mondo del vino.
Oggi, grazie alle neuroscienze, e in particolare alla loro applicazione al mondo delle vendite, è possibile studiare più approfonditamente gli effetti delle strategie narrative e la loro potenza evocativa e persuasiva analizzando l’effetto sulla parte più antica del cervello, quella deputata alle emozioni. Difatti, se da una parte le neuroscienze ci hanno permesso di misurare l’efficacia persuasiva dei messaggi, con il neuromarketing, dall’altra, gli studi di “brain imaging” ci hanno svelato numerosi segreti sul funzionamento cerebrale e sugli stimoli in grado di attivare la parte più antica del nostro cervello, ovvero il Sistema Limbico, quello deputato all’attivazione emozionale.
Stiamo parlando di una nuova materia e di un nuovo approccio alle vendite dal nome neuroselling, alla base della quale vi sono diverse possibili applicazioni: dalla conoscenza più approfondita dei sistemi cerebrali che guidano le decisioni alla valutazione dell’efficacia degli stili emotivi personali; dall’analisi del rapporto di questi e la plasticità cerebrale alla conoscenza degli stimoli in grado di attivare la parte più antica del cervello, rendendo il messaggio più persuasivo.

L’ossitocina, ormone della fiducia

 

Tra le numerose scoperte sull’efficacia della narrazione sul cervello vi è la scoperta della funzione di un noto neurotrasmettitore, l’ossitocina. Paul Zak, noto neuro-economista e direttore del Center for Neuroeconomics Studies alla Claremont University, si è specificatamente occupato dell’effetto della narrazione empatica sul cervello degli ascoltatori e sul ruolo dell’ossitocina. Questo neurotrasmettitore, chiamato, non a caso, “ormone della fiducia” viene prodotto da alcune specifiche aree del cervello, soprattutto quando ci si ritrova in relazione con soggetti reputati gradevoli. Allo stesso tempo Paul Zak ha dimostrato che può essere prodotta da un’efficace narrazione “empatica”. L’ossitocina in realtà era già nota come “molecola segnale”, cioè un neurotrasmettitore rilasciato nel flusso sanguigno per stimolare la produzione di latte nelle donne in maternità e per indurre il travaglio: ancora oggi il 50 per cento delle partorienti riceve ossitocina sintetica (pitocina) per accelerare le contrazioni uterine. In realtà il suo studio è sempre stato un po’ complicato a causa della bassa concentrazione nel sangue e della sua veloce degradazione. Eppure, alcuni preliminari studi sugli animali avevano già dimostrato quanto l’ossitocina fosse in grado di facilitare la cooperazione, stimolando fiducia, in alcune specie di mammiferi. Ci era già noto l’effetto di una molecola affine, la vasotocina, capace di promuovere interazioni amichevoli in altre specie animali.

L’ossitocina, in effetti, tende a ridurre l’azione dell’amigdala, ghiandola deputata alle emozioni negative come la paura e la rabbia, facilitando i comportamenti di attaccamento e di relazione, stimolando, al contempo, calma e contentezza.
Questo ormone, che viene prodotto in tutte quelle situazioni sociali definibili “gradevoli”, facilitando le relazioni e spingendo i soggetti in iterazione a collaborare tra di loro, è anche in grado di attivare comportamenti prosociali e “generosità” di azione. Lo ha dimostrato un noto studio condotto da un gruppo dell’Università di Zurigo guidato dall’economista Ernst Fehr e dal suddetto neuroeconomista Paul Zak1. Durante l’esperimento si fece inalare a circa 200 investitori una dose di ossitocina, usando uno spray nasale in modo da far arrivare la molecola direttamente al cervello. L’esperimento “trust game” utilizzato ha coinvolto alcuni volontari, dimostrando che ricevere un segnale di fiducia aumenta il livello di questo peptide nel sangue (grazie ad una sua maggiore produzione nel cervello). L’esperimento ha anche dimostrato in maniera indiscutibile quanto la presenza di ossitocina spruzzata per via nasale aumentasse la fiducia reciproca delle persone in relazione tra di loro rispetto ad un semplice placebo.

L’esperimento “trust game” di Paul Zak

 

Il gioco a cui furono sottoposti i soggetti consisteva nell’avere un’interazione a distanza basata dalla decisione di donare o meno una certa cifra al proprio interlocutore. L’esperimento fu costruito in maniera tale che la fiducia reciproca fosse un elemento dirimente nella contrattazione. Alcuni soggetti vennero sottoposti ad un’inalazione di ossitocina e il gruppo di controllo all’inalazione di un placebo. Nelle diverse fasi dell’esperimento, circa 1’85 per cento dei soggetti sopposti all’ossitocina tendevano a fidarsi di più dell’interlocutore, donando una cifra più alta rispetto al gruppo di controllo. Confrontando l’effetto provocato dall’ossitocina inalata si è rilevato che questo gruppo era più predisposto ad offrire alla loro controparte fino al 17% in più di denaro. Inoltre, dato ancora più significativo, il numero di soggetti che hanno manifestato massima fiducia, trasferendo tutto il denaro, è risultato il doppio rispetto al gruppo di controllo. Un aumento di ossitocina nel cervello ridurrebbe, pertanto, l’ansia generata dall’interazione con un estraneo.
Immagino che l’idea condivisa dopo la conoscenza dell’effetto dell’ossitocina inalata sarebbe quella di spruzzare per via nasale questo peptide per rendere più “generosi” i clienti, i collaboratori e i propri capi. Bella idea, ma poco funzionale, anche perché la vendita dell’ossitocina da spruzzare per via nasale ai nostri interlocutori non solo è vietata in Italia, ma avrebbe un effetto limitato a causa della veloce volatilità della sostanza.
Al di là di questa improbabile soluzione manipolatoria, ricordiamoci che l’ossitocina viene prodotta sia quando siamo in relazione con soggetti che si apprezzano di per sé, sia quando la narrazione del nostro interlocutore risulta al nostro cervello coinvolgente, empatica e autentica. Per questo motivo la narrazione empatica ha una funzione importantissima nei processi di vendita e in qualsiasi forma di contrattazione.
Paul Zak ha, infatti, dimostrato che anche i racconti presentati attraverso un video e le narrazioni interpersonali possono attivare le aree del cervello deputare alla produzione di ossitocina. Analizzando, infatti, i prelievi di sangue prima e dopo una specifica narrazione si è scoperto che le storie caratterizzate da personaggi “credibili ed autentici” e da parole emotivamente coinvolgenti, provocano la fatidica sintesi di ossitocina nel cervello di chi ascolta la storia.
Inoltre, la quantità di ossitocina rilasciata dal cervello predice quanto le persone siano disposte ad aiutare gli altri; per esempio, la donazione di denaro in beneficienza. Si comprende bene perché le storie ben progettate e ben narrate motivano la cooperazione volontaria e possono anche stimolare il desiderio di aiutare gli altri.
In questo processo, l’abilità del venditore o di chi contratta sta però sapere utilizzare tutti i suggerimenti offerti dalle neuroscienze e dalle scienze cognitive per creare storie affidabili, credibili ed empatiche o per utilizzare frasi o narrazioni che siano più “emotivamente” coinvolgenti e persuasive.

 

L’emotività del cervello

 

La letteratura scientifica ci dimostra che a volte basta pochissimo per rendere più convincente una frase, giocando con l’emotività del cervello. Allora, per esempio in macelleria è meglio dire che la “carne è magra al 75%” piuttosto che affermare che la “carne è grassa al 25%”. Razionalmente è la stessa cosa ma emotivamente la prima è più convincente. Oppure si pensi a cosa fece la nota casa petrolifera Texaco nel 1937 per accrescere le vendite di olio nei loro punti di distribuzione di carburante. Nei punti di rifornimento la domanda regolarmente posta dai benzinai ai propri clienti durante il rifornimento era “oggi diamo una controllatina all’olio?”. Si tratta di una domanda che porta con sé la richiesta di una spesa per un’attività percepita come poco utile. Facilmente immaginabile che la maggior parte delle risposte fosse negativa. Una geniale intuizione fece modificare la frase in “oggi l’olio è al livello giusto?”, Questa soluzione ha spostato il focus dall’aspetto commerciale a quello della sicurezza dell’auto, facendo crescere in maniera esponenziale le vendite. Una soluzione emotivamente coinvolgente che ha aumentato significativamente le conversioni nel punto vendita.

 

Dalla persuasione alla pre-suasione

 

I più recenti studi di neuromarketing e di neuroselling offrono utili suggerimenti per utilizzare specifici stimoli in grado di attivare la parte più antica del cervello, rendendo più convincenti e persuasivi i messaggi. A tal proposito uno dei più noti esperti in persuasione Robert Cialdini, autore del noto best seller “Le Armi della Persuasione”, ha pubblicato nel 2017 un nuovo testo dal titolo “Pre-suasione. Creare le condizioni per il successo dei persuasori” in cui suggerisce, sulla base dei più recenti studi neuroscientifici e di scienze cognitive quali azioni agire per essere più persuasivi attivando la parte più antica del cervello, così come un’utile guida a chi si occupa di contrattazione e negoziazione è il mio ultimo testo pubblicato proprio in questi giorni dal titolo “Neuroselling: Il contributo delle neuroscienze alle tecniche di vendita”.